Se nessuno mette in dubbio la brillantezza della sua produzione musicale (ottenuta principalmente con la sua band, The Wailers), ci chiediamo piuttosto cosa sarebbe diventato se la sua traiettoria politica e culturale non fosse stata interrotta dalla sua prematura scomparsa all’età di 36 anni.
C’era, da un lato, il Bob Marley che emerse come un simbolo rivoluzionario, un rappresentante del Terzo Mondo che avanzò una critica al capitalismo globale e al dominio imperiale da cui dipendeva. Soprattutto negli anni ’60 e ’70, esisteva una convinzione reale e palpabile che la lotta anticoloniale delle periferie e la lotta militante contro la supremazia bianca avrebbero seppellito lo sfruttamento e l’oppressione.
C’è anche un Marley, che arriva postumo, che è stato sanificato, mercificato e confezionato per la produzione di massa.
Presentato come il ragazzo manifesto del multiculturalismo liberale, il Marley di “One Love” è diventato una colonna sonora coinvolgente, per attività essenzialmente noiose e vuote come fare shopping e sballarsi.
Il reggae, una volta fonte non solo di espressione creativa, ma anche di prospettiva spirituale ed emancipatoria, è stato annacquato come un qualsiasi altro genere di musica e offerto ai consumatori come uno dei tanti oggetti in vendita sugli scaffali di un negozio.
Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail