L’analisi sull’argomento dello scrittore e musicista cubano Leonardo Acosta
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armando peraza, calt jader, terry hilliard, dave coleman

Dai suoi inizi e per più di 20 anni, la musica che conosciamo come “salsa” è stata motivo di interminabili polemiche, tanto a New York come all’Avana, Caracas, Cali o San Juan.

I principali temi del dibattito sono stati: “Esiste realmente la salsa come musica originale? Si tratta di un genere, di uno stile, di una corrente o solamente di un modo di suonare? Possiede elementi originali o è una mera copia della musica cubana degli anni quaranta o cinquanta, soprattutto del Son? Se è qualcosa di più di una moda o di un marchio commerciale, quali sono i suoi apporti e quali sono le differenze con la musica cubana del passato?”
La genesi della salsa è stata complessa. Oggi nessuno può ignorare che i suoi principali propulsori furono i musicisti portoricani residenti o nati a New York.

 

Già dagli anni 40 e 50 brillavano, nella scena musicale newyorkese,  diversi boricua, basta ricordare che due delle tre bande che si presentavano al Palladium, la leggendaria mecca della musica afrocubana e del mambo,  erano dirette da portoricani: Tito Puente e Tito Rodríguez. La terza, quella di Machito, era senza dubbio la più importante, quella presa a modello dalle orchestre dell’epoca. 

mongo santamaria

Se a ciò si aggiunge la presenza di musicisti e cantanti cubani di primo piano arrivati negli Stati Uniti, si può spiegare perché fu la musica cubana quella che si impose, a New York e poi in gran parte degli Stati Uniti, sia tra il pubblico hispano americano che tra quello multirazziale americano.
Oltre a Frank Grillo “Machito” e sua sorella Graciela e all’imprescindibile Mario Bauzà, c’erano Miguelito Valdés, Arsenio Rodríguez, Chano Pozo, Chico O’Farrill, Anselmo Sacasas, Candido Camero, Vicentico Valdés, Armando Peraza, Chocolate Armenteros, Mongo Santamaria (nella foto), Marcelino Guerra, Nilo Menéndez. Arrivarono poi, alla fine dei ’50 Israel Lòpez “Cachao” e José Fajardo.
Se consideriamo poi la portata dell’influenza musicale del leggendario Benny Moré e dell’Orchestra Aragòn, diventa chiaro perché i portoricani e i “newyorricans” si dedicarono alla musica cubana più che alla propria. Si dovranno aspettare Ismael Rivera e Rafael Cortijo perché si prestasse attenzione alla Plena e alla Bomba.

willie bobo

Negli anni ’60 i ritmi cubani e i suoi interpreti passarono in secondo piano, principalmente per due motivi: la rottura delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba che impedì il flusso di musicisti cubani, e l’invasione del rock britannico che catturò l’attenzione del pubblico giovane.

I nuovi ritmi cubani non arrivavano più a New York e il successo della bossa nova e della pachanga risultò effimero davanti alla marea incontenibile del rock.
Tutto rimase fermo al mambo, al chachacha e alla rumba, e niente sembrava emergere per rimpiazzarli.
Intanto alcuni talentuosi musicisti di New York (ricordiamo che New York era il principale centro di diffusione mondiale della musica cubana) preparavano il cambiamento : si chiamavano Johnny Colòn, Hector Rivera, Joe Cuba, i fratelli Charlie e Eddy Palmieri, Ray Barreto, Willie Bobo (nella foto), Larry Harlow.
In quegli anni, siamo nella decade del ’60, si affermò una nuova modalità di suonare la musica da ballo: il boogaloo, che ispirò molta gente latina e che portò alla fusione conosciuta come latin boogaloo. Interpreti della nuova onda erano Richie Ray, i fratelli LebrònJoey Pastrana, Willie Colòn, Jimmy Sabater, Cheo Feliciano.

Il successo fu immediato e ciò contribuì fortemente a emarginare le grandi band degli anni ’50 e con esse i generi tradizionali cubani.

The Fania All-Stars in 1980.

La reazione non si fece attendere e alcuni musicisti, tra i quali Tito Puente, insieme a impresari e disk jockeys, confabularono contro il boogaloo che finalmente passò a miglior vita.
Poco dopo, tra la fine dei ’60 e gli inizi dei ’70, cominciò a farsi breccia, con distinti cambi di ritmo, ciò che fu chiamata “salsa”. La salsa fu accolta con grande interesse, grazie alla promozione che la sostenne, in gran parte portata avanti dalla casa discografica Fania Records, sotto la direzione del dominicano Johnny  Pacheco.
Per tornare alla questione centrale, dobbiamo quindi porci la domanda finale: la salsa non è altro che l’amalgama di ritmi afrocubani tradizionali ?
Posta così, la polemica può chiudersi subito, visto che quasi tutti i salseri hanno ammesso che la base di questa musica è il “son” cubano e altri ingredienti, anch’essi cubani, come il guaguancò, il mambo e il chachacha. Per quanto concerne altri ritmi afro caraibici, certamente alcuni musicisti hanno ottenuto ottimi risultati puntando alla fusione con la plena e la bomba, con il merengue, la cumbia e il joropo, ma si tratta comunque di casi isolati e perciò fuori dalla norma.
Il maestro Armando Romeu Gonzàlez illustrò, in alcune occasioni, le principali differenze tra la salsa e la musica suonata a Cuba a quei tempi (anni ’70) e con una semplice equazione spiegava la differenza sul piano timbrico e orchestrale: i salseri avevano cambiato e modernizzato le parti degli ottoni, mantenendo il ritmo tradizionale, a Cuba si era fatto il contrario, introducendo l’elettronica nei bassi e nelle tastiere. Ora potremmo aggiungere, in linea generale, che le differenze consistono: 1) nel modo di suonare e combinare gli strumenti a percussione; 2) nel montuno del piano; 3) nell’uso del basso; 4) negli arrangiamenti e formati orchestrali; 5) nelle voci (inflessioni vocali, improvvisazioni e l’uso dei ritornelli); 6) nei movimenti scenici; 7) nei testi cantati.
Ascoltando la musica all’Avana o a New York si arriva a una stessa conclusione: una logica profonda concatena i fatti e la musica.
 

Israel Lopez Cachao

Forse con eccessiva veemenza e collera, i cubani contestarono la “salsa” fin da quando il termine fu coniato. Curiosamente si assisté a una coincidenza di giudizio, sia dei cubani dell’isola che di quelli di New York. Mario Bauzà, Machito, Israel Lopez Cachao (nella foto), tutti negarono che la salsa fosse qualcosa di diverso dalla musica da loro suonata negli anni ’40. Tito Puente, totalmente indentificato con la musica cubana dell’era del mambo, chachachà e afrocuban jazz, non si stancò di ripetere che l’unica salsa che conosceva era quella di pomodoro. Musicisti veterani come Enrique Jorrìn, Antonio Arcaño, Richard Egües e altri, respinsero la salsa allo stesso modo dei loro colleghi che vivevano all’estero.

Fu quasi una questione di onore nazionale, dovuto anche a una considerazione: le imitazioni e i plagi di stili da parte di certi musicisti senza scrupoli danneggiavano direttamente i cubani, impossibilitati altresì a intentare cause legali contro tali abusi.
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