I Rastafariani hanno un detto: “La metà non è mai stata raccontata”. Questa massima sembra particolarmente calzante per la storia della musica giamaicana. In effetti, ci sono ragioni per credere che la storia musicale della Giamaica non sarà mai svelata nella sua interezza, non solo per la difficoltà di trovare i fili che contribuirono al primo sviluppo della musica, ma anche per la complessità dell’ambiente sociale dal quale emerse.

Durante la decade degli anni ’60, quando i semi della musica popolare indigena giamaicana erano stati piantati, West Kingston si stava rapidamente espandendo con l’arrivo di migranti provenienti dalle varie parti dell’isola. Arrivati dalle zone rurali, tra i quali i più poveri dei poveri e ovviamente i più illetterati, erano visti come scarsamente degni di attenzione da quelli che invece occupavano una posizione più rilevante nella vita sociale e culturale.

Situati tra il rurale e l’urbano, tra il tradizionale e il moderno, molti di quelli che contribuirono a fare emergere la musica popolare lo fecero in modo anonimo, seguendo il corso della loro vita quotidiana. In chiesa, nelle dance halls, nelle Buru Masquerade, nei cortili dove veniva praticata la religione Kumina o in qualsiasi altro contesto di carattere sociale, questi comuni giamaicani, in possesso di poca o nessuna conoscenza musicale, regolarmente facevano musica, nello svolgimento delle loro funzioni quotidiane. Da umili praticanti di tradizioni musicali rurali trapiantati nella città, la maggior parte di loro è destinata a rimanere sconosciuta. Ciononostante, l’eco delle loro voci sono giunte fino a noi.

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