Finito il tour di Gillespie e la sua orchestra in terra europea, la stampa americana non li ricevette però come eroi, prevalevano le critiche acide e comparative del bebop e il suo riconoscimento quale evoluzione del jazz. Finirono persino per accusare Dizzy e la sua musica come influenzata dal jazz progressivo di Stan Kenton. A queste velenose insinuazioni Dizzy rispose: “Stan Kenton? La mia musica non ha niente di freddo, tipico della musica di Kenton. Qui quello che copia è Kenton. Ha inserito un percussionista, un tumbador, dopo aver visto che io ne avevo uno. Prese Carlos Vidal, rubandolo a Machito, e ci aggiunse un altro percussionista latino, Jack Costanzo. Però Stan non sapeva che farci con loro. Li ha messi nell’orchestra  senza avere un’idea e sono stati loro a doversi inventarsi come inserirsi. Tutto ciò è successo dopo che Stan mi vide al Savoy con Chano alle percussioni. Io non sono un esperto di musica latina, però quelli che la suonano mi rispettano perché io so come incorporare la loro musica, come unirla con la mia e incastrarla bene.

Durante il loro tour in Carolina del Nord, nel novembre del 1948, rubarono gli strumenti di Chano Pozo il quale fu così costretto a tornare a New York per poter ricomprare tumbadoras di qualità. Dizzy accompagnò Chano alla stazione e rimase lì fino all’allontanarsi del treno che lo avrebbe portato a New York. Non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che vedeva Chano in vita. Sarebbe morto pochi giorni dopo, il 2 dicembre 1948, al Rio Café di New York, ucciso da una revolverata per mano del reduce della seconda guerra mondiale di origine portoricana Eusebio Muñoz, detto il caporalino, per motivi mai del tutto chiariti, forse per una rivalsa nei confronti di Chano che lo aveva maltrattato, davanti a tutti, per avergli venduto dosi di marjuana di bassa qualità.

La sua morte avvenne nel momento in cui Manteca era il successo più popolare in ambito bebop. Manteca è stato il suo requiem e, allo stesso tempo, il suo passaporto per l’immortalità.

Il cubop (come venne anche chiamato l’afrocuban jazz) ha continuato a farsi strada nella scena jazz e ha anche segnato il suo impatto sulle big band “bianche”, e ha lasciato, come saldo positivo, l’incorporazione del tumbadora e delle percussioni afro-cubane nei formati musicali di quello che sarebbe poi diventato e chiamato latin jazz.

Nel 1949 il cubop ebbe forse l’esponente più completo in Machito e in Mario Bauzá. Memorabile è la registrazione di Cubop City, effettuata al Royal Roost il 2 aprile 1949 da Machito e dai suoi Afrocubans con Milt Jackson al vibrafono, Howard McGhee alla tromba e Brew Moore al sax tenore.

Altro importante evento fu la registrazione da parte di Machito e dei suoi Afrocubans con Charlie Parker, della Afro-Cuban Suite del grande Chico O’Farrill, insieme ad un altro pezzo di alta quota: la cosiddetta Manteca Suite, basata sull’omonima opera di Chano Pozo. O’Farrill, per il quale l’orchestra è sempre stata, come diceva, il suo strumento migliore, ha mostrato fino a che punto era già arrivato nella sua sperimentazione con le percussioni afro-cubane e il suo coinvolgimento nel jazz.

Passato il 1949, i musicisti jazz degli Stati Uniti avevano ormai accettato l’uso della percussione afrocubana e, a differenza dei critici, erano sicuri che non si trattava di una moda ma di una svolta.

Tra i primi direttori ad usare percussioni nelle band ci furono, oltre a Stan Kenton, altri come Charlie Barnet (che chiamò a suonare Carlos Vidal Bolado), Gene Krupa, Nat King Cole e Woody Herman.

Il secolo XXI è già iniziato ma la figura di Chano Pozo è ancora qui, che suona, canta, balla e grida. Certo, i tempi sono cambiati, ci sono altri ritmi però la clave…la clave è sempre lì, immutabile…Blen blen blen, blen blen blen.

Parte 6/6

#birthoflatinjazz

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