“Sono molte le canzoni di cui un novizio ascoltatore di jazz potrebbe innamorarsi, per la loro intensità e melodia, il loro intento e la storia dietro al pezzo”, dice il bassista e compositore Christian McBride. Ma piuttosto che scegliere un ovvio standard, McBride ha indicato qualcosa di più ambizioso: un’imponente, estesa suite in tre movimenti di Duke Ellington chiamata Black, Brown and Beige.

Presentando il pezzo alla Carnegie Hall nel 1943, Ellington annunciò al pubblico, per lo più bianco: “Vorremmo dire che questo racconta ‘il parallelo sonoro del negro americano. E, naturalmente, racconta una lunga storia’.” Il titolo Black, Brown and Beige si riferisce a tre movimenti di una suite, e ognuno rappresenta un periodo nella storia afro-americana: “Nero” è la vita degli schiavi; “Marrone” l’emancipazione e la partecipazione alle guerre americane; e “Beige” è quanto stava affrontando l’America nera in quel momento. Un passaggio, attraverso un cammino durato secoli, dalla schiavitù all’affermazione.

Quella sera alla Carnegie Hall il pubblico includeva Eleanor Roosevelt, Count Basie e Frank Sinatra. Quello doveva essere un grande momento rivelatore per Ellington. Ma alla fine ottenne recensioni davvero contrastanti.

Ma cosa si aspettavano da lui le persone e perché l’evento non ha soddisfatto le aspettative? parlare di ciò che le persone si aspettavano da lui e perché questo in qualche modo non ha soddisfatto le aspettative?

Risponde McBride: “Penso che Duke Ellington per primo si aspettasse recensioni contrastanti. Prima di tutto, era un leader e compositore afroamericano che suonava un pezzo su un “parallelo della storia del negro americano” nel 1943 alla Carnegie Hall. Questo da solo poteva già darti un paio di recensioni negative prima ancora di suonare una nota. Credo ci fossero molti critici che si ritenevano esperti di “musica raffinata” – sai, musica classica. Quindi, quando hai questo compositore afro-americano che usa timpani, violini, mescolandolo ritmi swing con ritmi africani, sono sicuro che molti presenti non avevano idea di cosa stessero ascoltando. Come scrivi qualcosa di cui non sai nulla?

Una cosa che è sempre stata importante per la storia della gente nera in America è la chiesa, e anche Duke Ellington scrisse molta musica sacra. Quindi penso che “Come Sunday” sia stato il suo ritratto musicale, ciò che il Gospel abbia significato per la comunità afro-americana.

Un titano incontrò un altro titano quella volta, nel 1958, quando fu registrato questo album. Penso di non sbagliarmi nell’affermare che non c’era una voce più potente nel mondo del Gospel di quella di Mahalia Jackson.

È anche importante ricordare che a quel tempo non si trovavano artisti di musica Gospel che collaboravano con artisti jazz. Culturalmente, quella era una linea troppo difficile da attraversare: c’era un contingente di artisti gospel o di gente di chiesa che ancora pensava che il jazz fosse musica laica, musica non da chiesa. Quindi penso che quella musica abbia dimostrato il potere e la maestà della musicalità di Duke Ellington da permettergli di utilizzare questa singolare artista proveniente da un altro cosiddetto “genere”, come a dire: “Di solito non lo faccio, ma questa musica è così potente. Voglio aiutare ulteriormente questo talento artistico, la maestà di questa canzone. “

È interessante notare che lo stesso anno, Sonny Rollins, incise la Freedom Suite. Nel 1960, Max Roach registrava “We Insist!, Freedom Now Suite.” Quindi c’era una generazione più giovane che era molto più diretta nel proprio messaggio, un messaggio che divenne molto più viscerale.

Duke Ellington tendeva a usare metafore. Era sempre molto poetico nel modo in cui esprimeva le gioie, i dolori e le speranze della comunità nera. E i musicisti più giovani come Sonny Rollins e Max Roach, rispettavano i modi di Ellington, perché sapevano che Duke Ellington aveva davvero dato tono a quella cosa nota come musica di protesta.

Questo disco descrive un’epopea ed Ellington lo fa quando ancora la storia non è giunta a conclusione, perché la vita del suo popolo è proseguita e servirebbero tanti altri colori.

Partecipano al disco:

Duke Ellington — piano

William “Cat” Anderson — trumpet

Harold Shorty Baker — trumpet

Clark Terry — trumpet

Ray Nance — trumpet, violin

John Sanders — valve trombone

Quentin Jackson — trombone

Britt Woodman — trombone

Paul Gonsalves — tenor saxophone

Bill Graham — alto saxophone

Harry Carney — baritone saxophone

Jimmy Woode — bass

Sam Woodyard — drums

Mahalia Jackson — vocals

Tutti I brani sono composti da Duke Ellington.

“Part I” – 8:17

“Part II” – 6:14

“Part III” (aka Light) – 6:26

“Part IV” (aka Come Sunday) – 7:58

“Part V” (aka Come Sunday) – 3:46

“Part VI” (23rd Psalm) – 3:01

Bonus tracks on re-releases

“Track 360” (aka Trains) (alternative take) – 2:02

“Blues in Orbit” (aka Tender) (alternative take) – 2:36

“Part I” (alternative take) – 6:49

“Part II” (alternative take) – 6:38

“Part III” (alternative take) – 3:08

“Part IV” (alternative take) – 2:23

“Part V” (alternative take) – 5:51

“Part VI” (alternative take) – 1:59

“Studio conversation” (Mahalia Swears) – 0:07

“Come Sunday” (a cappella) – 5:47

“(Pause track)” – 0:06

 

 

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