Stare in mezzo alla folla su un grande prato quando suonava un grosso sound system era probabilmente la più grande emozione al mondo per un ragazzino giamaicano.
La gente del ghetto quando voleva divertirsi andava alle serate con il sound system, non per darsi delle arie ma per stare in mezzo alla propria gente. Certe volte nasceva qualche parapiglia, ma allora era abbastanza raro. Essere ragazzi in Giamaica a quel tempo era la cosa più bella del mondo. La gente si vestiva a festa, e in questo la gente del ghetto era insuperabile, si beveva un goccio e si ascoltava una musica da sballo. Tutto sembrava possibile.
Stiamo parlando della metà degli anni cinquanta, quando il sound system era qualcosa di più di una muraglia di casse immense o di una discoteca ambulante: era il cuore pulsante della comunità.
L’idea di sparare musica all’aria aperta (il migliore rhythm&blues o il jazz) dalla radio o dal giradischi con una parete di casse era diventata popolare verso la metà degli anni quaranta per attirare la gente di passaggio dentro i bar e i negozi e, ancora prima, erano le mastodontiche radio e i colossali grammofoni a diffondere la musica.
Nel giro di una decina di anni il sound system era diventato un vero fenomeno sociale e il suo operatore, il sound-man, un pezzo grosso. I balli all’aria aperta animati da personaggi dai nomi stravaganti come Lord Koos of the Universe, Count Smith the Blues Blaster e Tom the great Sebastian (Tom Wong) passarono da una semplice occasione di divertimento a vero fulcro attorno a cui ruotava la vita dei diversi quartieri popolari di Kingston. Per le folle che accorrevano ovunque rimbombasse il “big beat”, il system diventò una vibrante agenzia per cuori solitari, una sfilata di moda, una centrale informazioni, una parata in cui verificare lo status sociale, un forum politico, un centro commerciale e, appena i dj cominciarono a parlare al microfono di argomenti che non fossero quant’era forte il loro system, o i dischi o se stessi e le proprie donne, il sound diventò anche il giornale del ghetto.
In un ambiente in cui qualsiasi espressione artistica o sociale indigena, cioè nera, veniva soffocata mentre era ancora in fasce, pesantemente diluita in nome della raffinatezza artistica oppure castrata per non scandalizzare i turisti bianchi, il sound system era creato da e per i miserabili giamaicani, quindi poteva vivere soltanto finché rimaneva una loro proprietà esclusiva.
Una bella serata dentro la staccionata di bambù in un grande prato era il massimo della vita per chiunque, sotto il cielo stellato dei Caraibi. Quando i dolci profumi del pollo marinato in salsa piccante, il profumo dei fiori di Bougainvillea e della collie weed aleggiavano attorno, e sentivi le pulsazioni del rhythm&blues più rovente risalire lungo una bottiglia di birra gelata e provavi qualche passo di danza con una fanciulla/o con gli occhi grandi così, era un’esperienza capace di sopraffare chiunque. Fino al punto che non contava più un accidente quel che ti riservavano gli altri problemi della vita. Lì, in quel momento, alla serata del sound-system, avevi tutto quello che ti interessava.
I system hanno cambiato per sempre la Giamaica e il suo rapporto con il resto del mondo. Ed è stato l’afflusso continuo di dischi di scatenato R&B importati dall’America a far nascere il migliore prodotto d’esportazione della Giamaica, il più proficuo e duraturo: la musica. Infatti, a metà anni cinquanta, esclusivamente grazie ai sound-system, il paese ha cominciato a impazzire per la musica. Doveva per forza scaturirne qualcosa di pazzesco. E presto.